2.8.06

Un diluvio

Stamattina all’alba, mentre stavo leggendo in poltrona un romanzo molto avvincente, è scoppiato un temporale come non avevo mai sentito. Lampi e tuoni quasi contemporanei, un vento da duecento all’ora, pioggia battente, immaginavo alberi divelti, cartelloni pubblicitari accartocciati, tegole e cornicioni dapertutto, tetti scoperchiati, macchine trascinate via dalla furia dell’acqua, negozi distrutti, tendoni stappati e forse persone in pericolo di vita. Un uragano in piena regola. Poi, improvvisamente, la calma totale. Sentivo solo il gocciolio di una grondaia. Ancora terrorizzato da tuoni e boati, indeciso se andare a vedere i danni o cercare di dormire, rimasi in poltrona. Alla mia età in nessun caso sarei potuto essere utile uscendo a vedere gli eventuali danni. Nel dormiveglia mi sembrò di sentire la tromba di un pullman che avvertiva gli ospiti del vicino albergo dell’imminente partenza. Così com’ero uscii a vedere i disastri provocati dal temporale, ma non c’era nessun disastro, tutto era a posto come la sera prima, anzi dovunque regnava un ordine che non avevo mai visto. Gli alberi erano in fiore, tante violette nelle piccole aiuole, nessuna macchina in seconda fila, i marciapiedi puliti e senza escrementi di cane né cicche nè sacchetti dell’immondizia per terra vicino ai cassonetti. Sulla strada passavano silenziose macchine e motorini elettrici. Nel bar, il barista era sorridente, sembrava che fare caffè e cappuccini lo divertisse molto, mi salutò gentilmente, la ragazza del banco distribuiva briosce e cornetti come se stesse distribuendo i confetti del suo matrimonio. Nella tabaccheria il gestore abitualmente burbero mi trattò come se fossi il suo cliente preferito, comprai dei francobolli e mi volle regalare una stecca di caramelle. Il ragazzo della ferramenta mi invitò a entrare per farmi vedere un nuovo tipo di cacciavite universale. Le campane della chiesa in piazza suonavano dolcemente “Michelle” dei Beatles. Davanti alla chiesa un vecchio furgone diesel era diventato un cespuglio di rododendri. Un giovane vigile aiutava le vecchie signore ad attraversare la strada. Dalla gelateria uscivano giovani allegri con enormi coni di gelato con la panna. Entrai anch’io, la gelataia era una splendida rossa con gli occhi blu vestita con una gonnellina di tulle attraverso la quale si intravvedeva la mutandina color lampone, il corpetto color limone. Nella piazza aleggiava il profumo del caffè e dei dolci appena sfornati. Al posto dei manifesti di AN c’erano le pubblicità di balletti e concerti. Mi venne in mente un film di Frank Capra. Mi svegliò la speaker della Rai che con voce commossa stava dando la notizia dell’uragano che aveva investito la città. C’era distruzione dapertutto, danni incalcolabili e alcune vittime. Un onorevole della Lega nord trascinato dall’acqua torrenziale era stato salvato da un africano veditore di borse, invece un bambino si era salvato miracolosamente perché protetto da un muro di manifesti elettorali di AN incastrati tra due alberi. Mi sembrava di impazzire, avevo sognato? Dove iniziava il sogno e dove la realtà? Le campane della chiesa suonavano a morto, dalle finestre vedevo il disastro nella strada. La gente litigava per il parcheggio.
Sì, era stato proprio un sogno in cui tutto era bello e ordinato, la gente disponibile e gentile, così come vorremmo che fosse sempre, era troppo bello per essere vero. Mi rimisi nella mia comoda poltrona, ingoiai un flacone intero di sonnifero con un bicchiere di Porto e mi rimisi a leggere…

E.M.