29.6.06

IL CASINO

Al tempo dei romani si chiamava lupanare. Nei secoli seguenti si chiamò postribolo, casa di tolleranza, bordello, casa di prostituzione, e in tanti altri modi, finchè, alla fine, si chiamò semplicemente casino. Comunque, in qualsiasi modo si chiamasse era un luogo dove la merce in vendita era il sesso. Uomini dai diciotto anni in su, forse in epoche remote anche più giovani, perché soli o timidi o semplicemente perché ne avevano voglia, frequentavano questi posti dove donne disponibili si prestavano a soddisfare i loro appetiti sessuali dietro un compenso in moneta sonante. Queste donne, chiamate con tanti nomi, ma sempre in tono dispregiativo, vendevano il loro corpo, ma non erano mai coinvolte sentimentalmente. Avevano deciso di essere delle professioniste e come tali si comportavano. Oggi le pornodive fanno del sesso molto più spinto, ma sono ammirate e tavolta osannate perché lo fanno in pubblico con un partner particolarmente dotato, trasformando le loro prestazioni in spettacolo.
Questa era la situazione in Italia da tempo immemore fino alla metà del novecento.
In tutte le città italiane nessuna esclusa esistevano queste cosiddette “case chiuse” che erano appartamenti o ville o palazzetti, tutti con ingresso strada, ma con le finestre accuratamente chiuse, nei quali gli uomini potevano entrare liberamente ed essere introdotti in uno o più salotti nei quali le “signore” o “signorine” facevano mostra di sé in costumi succinti atti a rivelare la loro procacità, così come sono vestite, o meglio svestite oggi le modelle delle trasmissioni televisive o quelle che espongono la loro merce sui calendari. A questo punto il cliente comodamente seduto in poltrona aveva il tempo per fare la sua scelta finchè con uno sguardo decideva la sua preferita, dopodichè la ragazza lo invitava a seguirla in un corridoio o su per una scala, fino alla camera da letto adibita alla consumazione dell’atto. C’era poi un breve accordo sulla durata, cioè sul tempo che il cliente desiderava trattenersi. Poteva trattarsi di una prestazione semplice della durata di una diecina di minuti oppure un tempo doppio, in qualche caso il cliente desiderava fermarsi anche mezz’ora o più, non c’era un limite. Il compenso era calcolato in base al tempo. La tariffa base era diversa nelle varie case a seconda del lusso degli ambienti e dell’avvenenza delle ragazze. Stabilito il tempo, la signorina si spogliava, faceva spogliare anche il cliente e provvedeva ad un apposito lavandino a lavare il membro del cliente. A richiesta il cliente poteva chiedere l’uso dell’anticoncezionale, ma a quei tempi l’Aids era sconosciuto ed era normale avere un rapporto non protetto. Ogni tre o quattro giorni, la mattina, veniva nella casa un medico il quale faceva i dovuti controlli sanitari.
Finito il rapporto la ragazza e il cliente scendevano nel salotto dove la ragazza diceva alla “maitresse” la durata della prestazione ricevendo in cambio delle “fiches” chiamate anche marchette, (da qui la parola “marchetta” per indicare ancora oggi una prestazione sessuale), mentre il cliente pagava il dovuto. In alcune “case” le ragazze avevano la mattinata libera per uscire per proprio conto o tra loro. All’ora del pranzo si riunivano tutte, insieme alla maitresse, attorno a un tavolo da pranzo dove veniva servito da una cameriera il pranzo cucinato lì stesso da una cuoca. Poi andavano ognuna nella propria stanza per indossare la “mise “ di lavoro e scendevano nel salone ad aspettare i clienti. In altre case si lavorava anche la mattina per qualche ora. Certi clienti particolari che preferivano mantenere l’incognito, avvertivano telefonicamente il proprio arrivo, a quel punto con delle tende si chiudeva la vista ai clienti in attesa, per permettere al personaggio di entrare in un salotto particolare dove si recavano le ragazze per essere scelte. La stessa manovra all’uscita di questi personaggi, abitualmente chiamati dalla maitresse “onorevoli” o “monsignori”o “eccellenza”. Altro fatto da non sottovalutare era la possibilità per un padre di poter portare un figlio disabile in una delle case senza barriere architettoniche.
Ogni quindici giorni tutte le ragazze lasciavano la casa per andare in un’altra casa, in un’altra città, cosicchè c’era un continuo ricambio, i clienti trovavano ragazze nuove ogni due settimane. Le ragazze non parlavano volentieri con i clienti di qual’era la ragione per la quale avevano scelto quella professione, ma se entravano in confidenza, trovavano sempre qualche risposta plausibile. Un figlio o una madre da mantenere o qualche parente da aiutare. Tutte indistintamente cercavano di accumulare dei risparmi per potersi ritirare da quell’attività, ma non tutte ci riuscivano.
Queste “case” in regola con licenze e permessi, pagavano all’erario le tasse dovute sugli introiti, tolte le spese. Per cui, trattandosi di un giro di centinaia di milioni di vecchie lire, l’erario poteva contare su di un’entrata veramente cospicua.

Finchè un giorno, nei lontani anni ’50, un’onorevole democristiana (forse senatrice), veneta e bigotta, certa Lina Merlin, ebbe l’infausta idea di iniziare una lotta contro le “case” finchè, dopo anni, nel1953 riuscì a far passare una legge, la legge Merlin, che obbligava tutte le case a chiudere i battenti. La sua argomentazione era che lo stato non poteva trarre beneficio economico dallo sfruttamento di povere donne. Ma si diceva allora che la vera ragione della sua avversione per le case era a causa di un suo problema familiare.
Le conseguenze pratiche furono disastrose. Migliaia di donne abituate a lauti guadagni, finirono sul marciapiede, non ci fu più controllo sanitario, i locali sfitti in cui nessuno voleva abitare, dopo anni furono trasformati in piccoli alberghi o pensioni o uffici. La prostituzione non più protetta e controllata dilagò attirando protettori disonesti e sfruttatori. Le donne venivano obbligate a lavorare in tutte le condizioni, col freddo, pioggia e neve e spesso picchiate e anche uccise. In seguito, visto che la prostituzione era senza alcun controllo, cominciarono ad arrivare donne giovani, spesso minorenni,
da altri paesi, allettate dalla promessa di un onesto lavoro, specialmente dell’est.
Oggi non c’è più alcun controllo, al più qualche retata della polizia che tiene le ragazze in custodia per alcune ore e poi le rilascia. Ci sono zone periferiche in tutte le città, dove le prostitute si muovono liberamente per trovare clienti. Questa è la situazione . Tempo fa un deputato di AN, l’onorevole Bontempo, lanciò la proposta di riaprire le case per ovviare a questa situazione selvaggia, ma riuscì soltanto a formulare delle regole che non hanno cambiato nulla. La prostituzione continua ad essere esercitata negli alberghi, in appartamenti e per le strade, senza alcun controllo. Lo sfruttamento dei “protettori” è implacabile e le ragazze sono alla loro mercè senza che venga preso alcun provvedimento in loro favore. Ora alle ormai poche italiane si sono aggiunte le albanesi, greche, romene, slave, sudamericane, nigeriane, ganesi e altre. Altro effetto negativo: il “mobbing” : datori di lavoro o funzionari pubblici che molestano e ricattano le loro dipendenti per ottenere delle prestazioni sessuali.
Che la Merlin bruci in eterno con tutta la DC!
E.M.